E’ stata una settimana iniziata con una giornata molto importante, che dovrebbe essere però la normalità di ogni giorno. La giornata internazionale dei diritti della donna. Avevo letto un tweet che diceva proprio che se l’8 marzo iniziasse a venir chiamato con il suo vero nome, e non mascherato dietro il solito “la festa della donna”, metà dei nostri problemi sarebbe risolto. Perché abbiamo diritti esattamente come gli uomini, perché prima di tutto siamo esseri umani, e le disparità non dovrebbero nemmeno esser pensate.

Ancora ad oggi, anno 2021, non è possibile che esista ancora la disparità di stipendio tra uomini e donne.

Non è possibile che ad un festival della canzone italiana gli uomini vengono elogiati per le performances e la voce e le donne invece descritte solo per “gli scolli vertiginosi” o “i vestiti troppo corti”, e del loro grande talento nemmeno l’ombra.

Non è possibile che nei ruoli di spicco e rilievo vedere una donna è ancora considerato “strano” e ci stupiamo per una astronauta, una giudice, una scienziata o una maestra d’orchestra.

Non è possibile che c’è gente che davvero pensa che una donna per vivere debba avere al suo fianco un uomo, o debba essere per forza madre perchè altrimenti “non si sente realizzata” o spreca “il suo dono della natura, ciò per cui è nata”.

Non è possibile che siano sempre gli uomini a decidere del corpo di una donna, perchè se una donna vuole abortire ha tutto il diritto di farlo.

E’ indecente pensare che esista una parola come “femminicidio”. Ma non perché essa non dovrebbe esistere o perché non ha fondamenta, ma perchè è la cruda e dura realtà dei fatti. Perchè quegli omicidi non sono semplici omicidi, sono omicidi giustificati dall’invidia, dalla gelosia di un uomo nei confronti di una donna che spesso è moglie, ex moglie, madre, compagna, donna, essere umano.  L’8 marzo non è una festa perchè ci sono stati dall’inizio del 2021 in Italia più femminicidi che settimane passate. Ben dodici. Quindi una donna uccisa ogni tre giorni solo in quanto donna. Dove consiste la colpa?

E’ solo per il fatto che la società ci ha da sempre cresciuti vedendo le donne come il sesso debole, quello sentimentale, quello che non sa guidare perchè “donna al volante pericolo costante”, quello che porta solo disastri perchè “dici donna, dici danno”, quello che “dovevi vestirti in un altro modo, è normale che ti abbia stuprata”, “cerca di andare in posti più affollati”, “cerca di uscire a orari sicuri”, e i fischi, la paura di andare in giro, di essere trattate come cani, di valere meno, di sentirsi sempre in dovere di chiedere scusa o avere colpe o non essere abbastanza o non essere ascoltate.

Di valere sempre meno.

Per l’8 marzo quindi, visto che siamo una rubrica di cinema, ho intenzione di scrivere di otto film che hanno urlato a questa ingiustizia. A questa educazione insensata, all’erba cattiva insita ormai nell’animo di ognuno di noi. Chissà chi mai decise all’alba dei tempi di porre noi donne su diecimila gradini inferiori rispetto ad un uomo.

Di titoli a riguardo ce ne sono moltissimi, ma qui ho voluto riportare quelli che secondo la mia sensibilità meglio incarnano questa giornata, questa ingiusta vita.

  • “Suffragette” 2015, Sarah Gavron

Siamo nella Londra del 1912 e il film racconta di una donna, Maud, che lavora dall’età di sette anni in un posto malsano, una grande lavanderia. Maud è anche madre del piccolo George, avuto dal matrimonio con Sonny, un collega della lavanderia. Maud però ogni giorno rischia di ferirsi, ammalarsi e subire abusi dal capo, il signor Taylor. Un giorno Maud, a causa di una consegna, viene a scontrarsi con una protesta violenta da parte delle suffragette, un gruppo di donne che vogliono una rivalsa e i loro diritti, guidate da Emmeline Pankhurst. Maud cercherà di ignorare il fuoco della giustizia che le brucia dentro, ma quando inizierà a vedere davvero l’ingiusta realtà che la circonda, non riuscirà più a rimanere in silenzio.

Un film eccezionale, mi sono commossa e arrabbiata al contempo, un ritratto veritiero delle nostre antenate che hanno combattuto per ciò che a noi oggi pare la normalità.

  • “Il colore viola” 1985, Steven Spielberg

Questo film drammatico, ormai diventato un classico, narra della condizione delle donne afro-americane nei primi anni del Novecento in Georgia, percorrendo la vita di Celie, che all’inizio della pellicola è una ragazzina di sedici anni che a seguito delle violenze subite da parte del padre dà alla luce due bambini, un maschio e una femmina, che le vengono brutalmente strappati. Allontanati i figli da sua figlia, il padre decide di vendere Celie ad un vedovo con figli di nome Albert che la sposa, abusa di lei e la fa vivere come una schiava. In seguito ad Albert viene venduta anche Nettie, la sorella minore di Celie, nonché l’unica persona al mondo da cui Celie si senta amata e che ama profondamente.Nettie insegna a Celie a leggere e a scrivere, ma è insospettita da certi atteggiamenti di Albert: questi infatti desidera abusare anche di lei. Un giorno Albert decide di mettere in atto le sue fantasie, ma Nettie si ribella e di conseguenza viene scacciata dalla casa e dalla terra dell’uomo, promettendo alla sorella maggiore che non smetterà mai di scriverle, ma nessuna delle sue lettere arriverà mai alla destinataria, perché Albert le intercetterà tutte e le nasconderà. Questa condizione perpetua di violenza purtroppo si instaura nella mente di Celie, che negli anni crederà essere l’unico modo di vivere e amare, ed inizierà a pensare che sia normale essere trattata come una schiava. Fondamentale sarà poi il rapporto che instaurerà con Shuga, una ex amante di Albert.

  • “Una giusta causa” 2018, Mimi Leder

Il film è un biopic sull’avocatessa Ruth Bader Ginsburg che narra della lotta del femminismo per i pari diritti di genere negli anni ‘50 contro la misoginia dilagante specialmente in campo giudiziario. Ella fin dall’università si sente chiedere perché non abbia lasciato il posto a un maschio. I suoi desideri non interessano, le alte posizioni guardano alle madri come custodi del focolare. Ha combattuto per tutta la vita per i diritti delle donne, denunciando la discriminazione insita nel sistema americano. In gioventù non riusciva a trovare uno studio legale che la volesse assumere, nonostante fosse la migliore del suo corso sia ad Harvard che alla Columbia. Così è andata in tribunale e ha ottenuto sentenze.

Oggi a 86 anni è giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, dopo essere stata nominata da Bill Clinton nel 1993. Una combattente che mai si è piegata al sistema.

  • “Il diritto di contare” 2017, Theodore Melfi

Questo film racconta della vera storia di Katherine Johnson, Dorothy Vaughn e Mary Jackson, tre scienziate afro-americane che negli anni Sessanta in Virginia hanno rivoluzionato gli studi alla NASA.

La legge al tempo non permetteva ai neri di vivere insieme ai bianchi. Uffici, toilette, mense, sale d’attesa, bus erano rigorosamente separati. Da una parte ci sono i bianchi, dall’altra ci sono i neri. La NASA non fa eccezione. I neri sono disprezzati. Reclutate dalla prestigiosa istituzione, Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson sono la brillante variabile che permette alla NASA di inviare un uomo in orbita e poi sulla Luna. Le tre si battono contro le discriminazioni poiché donne e poiché nere, imponendosi poco a poco sull’arroganza di colleghi e superiori. Confinate nell’ala ovest dell’edificio, finiscono per abbattere le barriere razziali con grazia e competenza. Fino ad oggi questa pagina di storia era stata esplorata solo dal punto di vista maschile, ma le cose andarono davvero così.

Siamo ancora disposti a non renderci conto dei progressi nei più grandi campi del sapere attuati in primis da donne che si sono viste portare via il loro riconoscimento per insulse ideologie maschiliste?

  • “The help” 2012, Tate Taylor

Con questo film, tratto dal romanzo di Kathryn Stockett, ci troviamo a Jackson, nel Mississippi degli anni Sessanta. All’università Eugenia Phelan, detta Skeeter, di famiglia altoborghese, è a disagio con i maschi, le abitudini familiari, il razzismo segregazionista dell’ambiente. Vorrebbe diventare una giornalista – scrittrice. Circondata com’è da un razzismo tanto ipocrita quanto esibito, è consapevole del fatto che l’educazione dei piccoli, come lo è stata la sua, è nelle mani delle domestiche di colore, e quindi comincia a lavorare a un progetto segreto rischioso: scrivere un libro che racconti la vita delle cameriere afroamericane. Trova due complici giuste in Aibileen e Minny, e il libro di Skeeter comincia a prendere forma e, al contempo, a non essere più ‘suo’ ma delle donne che le confidano le umiliazioni patite.

Il successo è dovuto alla miscela di commozione, umorismo e ironia che ci fa ragionare però su un passato apparentemente lontano ma che porta a chiederci se quei problemi siano stati risolti una volta per tutte. La risposta è purtroppo negativa.

  • “Joy” 2015, David O. Russel

Questo biopic racconta la vera storia di Joy Mangano (interpretata da una strabiliante Jennifer Lawrence), che nel 1990 era una donna divorziata con tre figli, schiacciata dalla necessità di far quadrare i conti, i rapporti all’interno della sua famiglia e i turni di notte come hostess di terra di una compagnia di volo. Stanca, demotivata e del tutto assorbita dalle pesanti responsabilità quotidiane, Joy si ritrova un giorno a inventare quello che tutti conosceranno come Miracle Mop, un mocho che evita di doversi sporcare le mani. Dopo aver intrapreso una piccola attività con l’aiuto di parenti e amici, Mangano da Long Island porta la sua invenzione in tv, e anche se all’inizio non riscuote successo, quando è lei stessa a presentare il proprio prodotto immediatamente vende milioni di copie.

Ed una piccola chicca, al di fuori del film, consiste nella vera Joy Mangano che qualche anno fa ha persino scritto una propria autobiografia: “Inventing Joy”.

  • “Girl Power – La rivoluzione comincia a scuola” 2021, Amy Poehler

Il film narra di Vivian, una sedicenne che sta per cominciare il terzo anno di liceo, e come ogni anno commenta con la migliore amica le liste di nomi delle ragazze elencate dai ragazzi della scuola per oscene classifiche.

Le viene assegnato un compito in cui le viene chiesto “cosa sta a cuore ai 16enni”, e non sapendo dare una risposta chiede a sua madre cosa le stesse a cuore quando aveva la sua età, ottenendo una risposta rivoluzionaria che implicava la distruzione del patriarcato. Dopo aver trovato la valigetta della madre che contiene tutti i giornalini, i poster e i ricordi di quel periodo femminista, Vivian decide di scrivere qualcosa lei stessa in anonimato e di lasciare questi giornali femministi nei bagni della scuola, ottenendo come risultato il fatto di essere sulla bocca di tutti. Su ogni copia ogni settimana coinvolge tutte le ragazze dell’istituto a infrangere le regole insensate imposte dalla scuole e insorgere anche semplicemente indossando una canottiera.

Una rivoluzione che parte dal basso, un film con purtroppo alcuni buchi di trama e con uno stile molto adolescenziale, ma che probabilmente è stato concepito proprio in questo modo per riuscire facilmente ad arrivare ai più piccoli ma al contempo anche ai grandi, per far capire il femminismo, la società scolastica e la vita che circonda noi donne ogni giorno.

  • “Femministe: ritratti di un’epoca” 2018, Johanna Demetrakas

Per finire, un documentario mi sembrava il modo migliore per raccontare come tutto il movimento per i diritti delle donne si è evoluto. Attraverso interviste a donne fondamentali per il movimento femminista, come Jane Fonda, Laurie Anderson, Judy Chicago, Phyllis Chesler e Lily Tomlinche, che hanno fatto la storia negli anni Settanta, possiamo rivivere la seconda ondata del movimento femminista nato negli Stati Uniti. In modo sincero e appassionato raccontano le loro esperienze e i loro punti di vista in merito ai soprusi subiti, all’infanzia, all’aborto, alla maternità e soprattutto riguardo alla ricerca della propria identità. Lo spunto narrativo prende vita da una raccolta di fotografie di Cynthia MacAdams, pubblicata nel 1977, dal titolo “Emergence”. L’artista riteneva che le donne fossero cambiate per via del femminismo e voleva capire se, attraverso la fotografia, fosse possibile rendere visibile questa trasformazione. La stessa regista Demetrakas si rivolge alla fotografa MacAdam.

Le parole di queste donne spingono a riflettere sui cambiamenti che sono avvenuti e su quanto ancora ci sia da fare, dimostrando con entusiasmo che un mondo diverso, più equo, è possibile.

Una curiosità riguardo il mondo del cinema e le donne

La prima regista donna è stata Alice Guy-Blaché, nata nel 1873 e morta nel 1968, ed è stata fondamentale per il mondo del cinema. Ella fu la prima a usare il colore, il sonoro, il primo piano e addirittura la prima a produrre un film fantasy: “Le fée aux choux”.

Ma perchè, se è stata così importante per la storia del cinema, non sappiamo nulla di lei?

Semplicemente perchè il suo nome, nelle sue pellicole, veniva tolto proprio in quanto donna, e venivano usati nomi maschili inventati o veniva posto il nome della casa di produzione.