Il Galata Museo del Mare di Genova presenta dal 14 marzo al 14 aprile 2024 la mostra di Giovanni Cerri “L’Italia che partiva. Via mare verso l’America“, riportando l’attenzione su uno dei fenomeni sociali e culturali più pregnanti della storia italiana, che vide tra il 1876 e il 1925 più di sei milioni di italiani lasciare il proprio paese per

raggiungere gli Stati Uniti. Un’esperienza espositiva che promette di toccare le corde della memoria collettiva, un commovente omaggio in bianco e nero a tutti gli italiani che tra la fine dell’Ottocento e le prime decadi del Novecento emigrarono verso il continente americano.

Attraverso una selezione di venti opere evocative, tutte datate 2023, realizzate in tecnica mista su tela o tavola e delle quali due rappresentative delle città di Genova (il porto) e San Francisco (il Golden Gate), Giovanni Cerri esplora la memoria collettiva di un’epoca caratterizzata da profonde trasformazioni sociali e culturali.

L’intera narrazione visiva volutamente in bianco e nero, come se fosse essa stessa documento storico, è un invito a riflettere sul passato migratorio italiano e nasce da un attento lavoro sulla memoria e sul ricordo di quello che sono stati i nostri antenati che, a cavallo tra i due secoli, affrontarono il mare per cercare fortuna in un altro continente, con tradizioni, abitudini e leggi differenti.
Abbiamo raggiunto il Maestro Giovanni Cerri con il quale siamo riusciti a fargli qualche domanda.
Qui di seguito tutto quello che ne è venuto fuori:

 – Partiamo dagli inizi un po’ per rompere il ghiaccio: come si è avvicinato all’arte?

Essendo figlio d’arte, mio padre Giancarlo mi ha insegnato fin da bambino i primi rudimenti tecnici dell’approccio ai colori. Poi, per alcuni anni, diciamo fino alla prima adolescenza mai avrei pensato che mi sarei dedicato all’arte. Alle Superiori invece ho ripreso i pennelli, dopo aver “incontrato”, una mattina d’inverno, i resti della fatiscente periferia della Bovisa di quei tempi. Da lì è incominciato tutto.

Che cos’è per Lei l’arte?

Per me è stato sempre un modo per conoscermi, prima di ogni altra cosa. Poi, divenuto anche unico lavoro di sostentamento, soprattutto dai primi anni del Duemila, è anche altro: fonte di incontri, relazioni, indagine sui temi che più mi interessano. Tutto comunque nasce e, nell’arco della giornata, muore attraverso il lavoro quotidiano in studio, il luogo dove giorno per giorno mi confronto.

 – Nella mostra “L’Italia che partiva” (e ne parliamo dopo), Lei principalmente ha usato il bianco e nero, solamente un quadro a colori. Che rapporto ha con i colori o con il bianco e nero?

Assomiglia molto al ruolo che di solito ha il bianco e nero per i registi. Il bianco e nero per me è il ricordo, il passato, la memoria, il “flash back”. È quello che è successo molto tempo prima.
– Un’artista come Lei, quando vede una persona che guarda la sua opera, cosa pensa? che sensazioni prova? Le viene voglia di interagire con la persona che in quel momento sta affrontando un “viaggio” nella sua fantasia?
Certo, mi interessa molto. La relazione con l’altro è fondamentale, altrimenti qualsiasi opera d’arte è inutile, sia musica, letteratura, teatro, cinema, pittura…Bisogna sempre essere in due; chi fa e chi guarda, legge, ascolta. Dirò di più, io lavoro spesso su commissione, quindi su richiesta di un committente che mi propone talvolta anche temi molto lontani da ciò che faccio abitualmente per la mia ricerca. Quindi iniziamo, insieme, il lavoro, fin dall’inizio e poi durante la messa in opera, man mano che il dipinto “matura”, fino all’esito finale dell’opera. Quindi, in questo caso, mi interessa la relazione, e lo sguardo, nelle varie fasi durante il lavoro e non solo alla fine.
– Lo ha avuto o tutt’ora è presente un punto di riferimento, una persona che la influenza artisticamente? 

Certamente, fin da giovane ho sempre avuto dei punti di riferimento nella pittura, potrei citare diversi nomi durante le varie fasi della mia età e del mio lavoro. L’innamoramento che non è mai tramontato è per il Trecento e Quattrocento, quello è rimasto sempre. Non solo artisti riferiti alla pittura, ma anche, e forse ancor di più come importanza per me, al mondo del cinema (Bergman, Antonioni, Tarkovskij). Oggi mi interessano di più le cose, gli oggetti, o la vita della natura, della vegetazione. La pianta che nasce da una fessura nell’asfalto, il rampicante che “assalta” e riempie un muro di rami e di foglie, come se lo mangiasse…Ecco, mi interessano questi avvenimenti.
VENIAMO ALLA MOSTRA
– Che cos’è per Lei il viaggio? Lo dipinge un po’ con una sorta di malinconia

Il viaggio inteso come emigrazione verso terre sconosciute, è il tema di questa mostra, per me ha una valenza eroica, certo anche fatta di nostalgia e di malinconia. Pensiamo a quei saluti, a quei congedi, famiglie che non avrebbero per molto tempo, forse mai più, i loro cari, partiti per un’avventura in in altro mondo, diverso, con altre leggi, altre regole, altre lingue. Oggi forse non ci rendiamo più conto di cosa doveva essere quel viaggio, quel salto verso l’ignoto, e certamente per tanti non finito in modo positivo. Si conoscono di più le vicende a lieto fine, ma quanti drammi esistenziali non conosciamo; quante miserie sprofondate nell’oblio, dimenticate per sempre.
Prima abbiamo parlato di colori, principalmente ha usato nelle sue opere esposte il bianco e nero, cosa ha voluto trasmettere?

Per me, come penso per tanti registi, il bianco e nero è il colore del ricordo, del “flash back”. Quindi, quando ho pensato di dedicare questi lavori ai nostri antenati che attraversarono l’oceano dall’Italia post-unitaria ai primi decenni del Novecento, ho pensato al documento d’epoca, al film muto, quindi al bianco e nero per eccellenza.
Perché solo un quadro a colori, tra l’altro è il più grande, è il più importante?

Quando ho finito di dipingere i quadri della mostra, mi sono accorto che mancava una cosa: il presente. Perché l’emigrazione, anche nostra, avviene ancora oggi, sebbene con altre modalità e in un contesto storico-sociale completamente mutato. Così ho pensato a una “finestra” che guardasse oltre; il resto della mostra, la parte più consistente è una riflessione, e un omaggio a “ieri”. Ci voleva uno stacco, quindi un quadro grande, a colori, quasi astratto, senza racconto, fuori dal contesto documentaristico. Ognuno di noi attraverso questa finestra a colori fa il suo viaggio, guarda al di fuori, o al di dentro di sé stesso, interpretando un proprio concetto di viaggio, di avventura nell’ignoto, secondo un suo vissuto personale.
– Ho letto che c’è stata una grande ricerca in rete di immagini del passato prima di produrre le sue opere; ha incontrato delle difficoltà?

Ho cercato fonti diverse, immagini, testi, filmati, documenti, luoghi, vecchi manifesti pubblicitari…poi, dovendo riunire tutto in una ventina di opere, ho tirato le somme e mi sono concentrato su quello che, in una sintesi, poteva dare l’idea di quel mondo.
– Che emozioni ha provato nel vedere prima le foto che poi ha scelto e successivamente ha riprodotto? Alla fine sono immagini “vere” – Io mi emoziono ancora oggi a guardare le foto di famiglia, le confesso che qualche lacrima affiora.

Certo, è la nostra storia, quella più lontana, dei nostri nonni, bisnonni, avi. Quando l’Italia comunicava perlopiù attraverso i dialetti, era stata fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani. Pensiamo a quelle navi dove si parlavano quelle lingue regionali; un patrimonio arcaico di idiomi, di provenienze, di culture locali. L’Italia ancora rurale, agli albori dell’era industriale, l’Italia dei contadini e dei pastori, con ancora tanto analfabetismo, con un’età media alquanto breve. Oggi ci si dimentica che anche noi siamo stati migranti, che anche noi partivamo e attraversavamo i mari.
 – In questo contesto storico è ancora molto presente l’immigrazione come lo è stato in passato, si cercava la felicità altrove dove nella terra natia c’erano delle difficoltà. Guardando le sue opere mi sono emozionato, lei pensa che anche tra 80 anni si troveranno artisti che renderanno omaggio a questi “viaggi”?

Penso che ci sarà sempre qualcuno a cui interessano le radici lontane, le identità, il “da dove si viene”. Mai dimenticarsi da dove si proviene.
 – Che cosa l’affascina dell’arte?

La possibilità di trovare strade nuove, di cercare e scoprire possibilità diverse. L’emozione come risorsa per vivere, o sopravvivere. Se il cuore non batte, si muore. Non solo fisiologicamente, anche e soprattutto emotivamente.
Ha un’opera sua o di altri che porta sempre nel cuore? Ci vuole spiegare il motivo?

Certamente reputo alcuni miei quadri più importanti, nei vari periodi. Ma forse quelli a cui sono più legato sono proprio i primi lavori, che conservo ancora, quando avevo quindici, sedici, diciassette anni, perché quello è stato il mio inizio.
Noi siamo una radio e trattiamo musica, altra arte sicuramente, Lei hai una canzone che metterebbe come colonna sonora della sua vita? Gliene concedo 3 perché mi rendo conto che una canzone è difficile da scegliere.

Domanda difficile infatti! Io ho un “preferito” assoluto che è Fabrizio De André (che tra l’altro è proprio di Genova, e ho pensato anche ai suoi “personaggi” quando dipingevo i quadri di questa mostra), quindi direi “Via del Campo”, poi invece come accompagnamento ai miei quadri più recenti sul tema della natura che invade lo spazio urbano, in un’atmosfera post-umana e minacciosa, assolutamente “The End” dei Doors, ed infine “Prospettiva Nevskij” di Franco Battiato, per un pittore come me che ha trattato la città e la storia, è impossibile non amarla, un riassunto in musica di tanti temi del Novecento.
In trasmissione questa domanda è un po’ il marchio di fabbrica, gioca molto anche per l’atmosfera che si viene a creare. Immaginando che ci ritroviamo ad un tavolino seduti in poltrona dopo una bellissima chiacchierata da amici, con l’ultimo brindisi mi piacerebbe sapere: Il Giovanni di adesso incontrasse il Giovanni bambino che cosa gli direbbe?
“Giovanni, sei arrivato nel mezzo del cammin, forse un poco più in là, sei stato fortunato a fare ciò che volevi; per quel che ti resta vai avanti e continua ad essere te stesso, e soprattutto continua ad essere un po’ quel bambino!”

Un grazie di cuore a Giovanni Cerri, ricordatevi di andare a trovarlo e a visitare la mostra “”L’Italia che partiva. Via mare verso l’America” dal 14 marzo al 14 aprile al Galata Museo del Mare di Genova.
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