Fosse per noi, dovessimo istituire un premio per il miglior regista di questo 2020, la coppa la vincerebbe Daniele Vicari. Non esageriamo. Siamo coerenti con una massima: cogliere opportunità anche nelle peggiori catastrofi. Regista con uno spirito artigianale nel miglior senso del termine, in questo anno così disgraziato per una pandemia che ha travolto il mondo, non si è abbattuto, non si è mai lamentato, ma anzi ha trovato il modo di darsi da fare. Ha continuato a vivere e lavorare come e dove si può. Soprattutto, lo apprezziamo, per saper cogliere le proporzioni delle cose nel tempo e nel luogo in cui ci troviamo: “Parliamoci chiaro. Il cinema è un gioco, cosa dovrebbero dire i medici negli ospedali?”
Vicari, regista con un forte spirito di gruppo, autore del mai dimenticato Diaz, ma di altrettanti gioielli premiati dalla critica o dal pubblico come Sole, cuore, amore, L’orizzonte degli eventi, Velocità massima, La nave dolce, è anche showrunner o, detto in italiano, supervisore artistico, della serie rivelazione di quest’anno, L’alligatore, tratto dai libri di Massimo Carlotto.
Con Daniele Vicari accenniamo a questo successo – per approfondire questo è il link dell’intervista – ma soprattutto parliamo di come ha lavorato in un periodo in cui il mondo del cinema e della cultura è stato e continua ad essere fortemente penalizzato.
Daniele, prima di tutto un bilancio sulla serie L’alligatore, ora che sono andate in onda anche le ultime puntate. Soddisfatto?
Sulla piattaforma Raiplay, dove c’erano tutte le puntate prima della messa in onda su Riadue, ha avuto quasi due milioni di visualizzazioni, in tv ha sofferto per gli ascolti, ma la critica è stata unanime. Tanto che l’Alligatore è candidato come miglior serie dell’anno al Fabrique Awards 2020 e la rivista RollingStone l’ha inserita tra le migliori 10 serie italiane. Quindi, un bilancio più che positivo. Tanto che noi siamo pronti per una seconda stagione. Ora la palla è in mano alla Rai”.
A febbraio di quest’anno è arrivato il Covid. Come hai affrontato da subito questo momento? Parlo in termini lavorativi?
A febbraio, durante la lavorazione di Alligatore nella laguna Veneta ho contratto un virus che colpisce il sistema nervoso. Ero in piena convalescenza quando il 9 marzo è stato dichiarato il Lockdown. Per far funzionare la didattica della Scuola Gian Maria Volonté (di cui è direttore artistico, ndr) abbiamo pensato e realizzato delle esercitazioni pratiche che prevedevano un lavoro “a distanza”. Con Andrea Porporati e Francesca Zanza ci siamo detti: perché se spingiamo i ragazzi a fare cinema “a distanza” non possiamo farlo? A quel punto abbiamo messo in piedi 2 progetti, il primo è Il giorno e la notte, un film di finzione e il secondo è Aria una doc-serie, entrambi basati su una metodologia molto complessa ma affascinante di lavoro a distanza.
E proprio durante il lockdown è nata la casa di produzione Kon-Tiki Film?
Esatto. Ci siamo detti, se i registi del neorealismo sono riusciti a fare film sotto i bombardamenti, situazione ben più drammatica, perché dobbiamo rinunciare? Andrea Porporati è uno sceneggiatore, scrittore e regista, ha fatto molti film ed ha una lunga esperienza nell’industria del cinema e della televisione. Francesca Zanza è una produttrice che si è formata lavorando in alcune importanti società di produzione. Abbiamo deciso di guardare al futuro del nostro cinema, che ha bisogno di idee e metodi nuovi. Soprattutto abbiamo condiviso l’idea di realizzare progetti che coinvolgessero giorni cineasti.
Ed eccoci al progetto Aria. A te, raccontarlo.
La docu-serie è nata durante il primo Lockdown, quando tanti nostri connazionali rimasero “imprigionati” in giro per il mondo. Fin da subito con Andrea Porporati, Costanza Quatriglio e Francesca Zanza ci siamo detti: dobbiamo raccontare il mondo intero e dobbiamo farlo in maniera articolata. Raccontare la “prigionia” non serva a nulla, dobbiamo raccontare la “liberazione”, il desiderio di futuro, la voglia di cambiare il nostro quotidiano. Per fare tutto avremmo dovuto fare in modo che i testimoni si raccontassero nel tempo, che raccontassero l’intero arco temporale della loro odissea, solo così saremmo riusciti a capire cosa stiamo vivendo.
Chi ha partecipato all’operazione?
Una redazione di giovani cineaste e cineasti: Flavia Montini, Chiara Campara, Greta Scicchitano, Pietro Porporati e Francesco di Nuzzo, che hanno fatto un lavoro straordinario… e siamo partiti senza chiedere né soldi né sostegno a nessuno. Con il montaggio accorto di Martina Torrisi, Angelo Santinskij e Graziano Molinari, coordinato da Luca Gasparini, abbiamo dato una forma al racconto. Finché la direttora di RaiPlay Elena Capparelli e il suo braccio destro Maurizio Imbriale si sono innamorati del progetto ormai in post-produzione e lo hanno acquistato per renderlo disponibile gratuitamente.
Aria, che andrà in onda il 29 dicembre su Raiplay, è un bellissimo titolo che evoca il respiro, l’apertura, il contrario di ciò che invece accaduto in questo anno, dove la fame d’aria e la mancanza di respiro sono stati protagonisti assoluti del virus. Perché questo titolo?
Perché l’aria in un’opera lirica è il momento in cui un personaggio esce dal contesto della Storia e canta al pubblico chi è e cosa sente veramente, la sua storia nella Storia. Aria è un’opera a cui tengo moltissimo, come Il giorno e la notte ha una forte impronta collettiva ed è concepita su un principio nel quale credo non da oggi: siamo una società che basa la propria comunicazione sui linguaggi audio-visivi, abbiamo interiorizzato il cinema ancora di più della letteratura e di altre forme espressive. Il linguaggio del cinema fa parte integrante della nostra idea di mondo e di futuro, quindi il coinvolgimento attivo dei “testimoni” nella realizzazione di un film o di una serie a carattere documentario non solo è possibile ma auspicabile.
Una forma di cinema quasi interattivo…
La condizione in cui stiamo vivendo lo permette. L’esperienza di ciascuno è preziosa ed è prezioso il punto di vista di ciascuno. Dare la responsabilità al testimone di “filmare la propria esistenza” è un passo in più rispetto alla semplice intervista o al riprendere il testimone in azione nel proprio ambiente. Inoltre, a proposito di Aria, noi volevamo raccontare le vicende di persone sparse nel mondo e in quel momento, da marzo a giugno di quest’anno, non si poteva viaggiare con una troupe in giro per il globo. Quindi abbiamo cercato e trovato un metodo che ci facesse viaggiare non “con” i testimoni ma “attraverso” di loro, grazie alla loro autonarrazione.
Questo tormentato 2020 si sta concludendo, cosa ti aspetti dal 2021?
Il 2021 sarà probabilmente difficile come il 2020, mi aspetto però che noi tutti abbiamo imparato qualcosa da ciò che stiamo vivendo in questi mesi durissimi, quantomeno in termini di cura di noi stessi e del pianeta. Dobbiamo tutte e tutti fare un balzo in avanti, dobbiamo volerci bene, rifiutare logiche distruttive e realizzare un futuro migliore per noi e per i nostri figli. Su questo piano il cinema può tornare ad avere una grande importanza non solo come “intrattenimento” (che va bene, per carità, come ogni forma di consolazione) ma anche come “completamento” e “sviluppo” della coscienza collettiva.