Hammamet, l’ultimo film di Gianni Amelio, ha sollevato un polverone com’era prevedibile accadesse. Ha preso posizione? Insomma, ha riabilitato o condannato la figura di Craxi? Noi crediamo che la risposta migliore sia ascoltare le parole del regista e la genesi da cui è partito il film, dalla proposta, cioè, del produttore di fare un film su Cavour e la figlia.

Ecco, se l’idea di base da cui tutto è partito è il suo rapporto con la figlia e la disfatta di sé stesso, il film è riuscito nel suo intento. Non dimenticando un altro merito del film. Per esempio come si può spiegare la complessa figura di Bettino Craxi a chi è nato a ridosso del 2000, anno in cui il Presidente, come viene chiamato nel film, morì? Un uomo politico del Novecento, leader socialista che portò il suo partito ai massimi storici, un re, per qualcuno una star e, per altrettanti, un delinquente che ha perso lo scettro e deve fare i conti con la fine della propria vita oltre che con le vicende giudiziarie.
Un politico condannato per i finanziamenti illeciti al suo partito. Peccato ascrivibile, come sappiamo, ad un sistema dove molti beneficiavano dei suoi stessi ‘favori’ ma in cui lui divenne il capro espiatorio. Fu realmente così?
Qualcuno ha definito il film un’agiografia laica del santo Craxi, noi lo troviamo eccessivo e non veritiero. La cifra di Amelio, semmai, e non crediamo di forzare la mano, è la stessa del “Ladro di bambini”, di “Colpire al cuore”, del bellissimo “Il primo uomo”: il rapporto con il padre. E, in Hammamet, il rapporto tra Il Presidente, mai nel film viene chiamato Bettino Craxi, e la figlia Stefania, che qui si chiama Anita (in omaggio al suo amore per Giuseppe Garibaldi) prevale su tutto, anche sulla realtà storica (sembra che fosse il figlio ad essere più presente ad Hammamet). Un amore fatto di sguardi, di lancinanti silenzi (soprattutto della figlia), di amore smisurato per un padre di cui non vuole, ostinatamente, vedere gli errori, perché è padre prima che politico.
Ma la figura del padre pervade tutto il film come quando il ragazzo misterioso, figura di fantasia, si scopre essere il figlio irrisolto dell’amico Vincenzo, interpretato da Giuseppe Cederna (quello che, come un grillo parlante, all’inizio del film prevede lo sfacelo del partito) e nel cammeo del grande Omero Antonutti, che torna in sogno al presidente ‘padre padrone’ che, in un impeto felliniano, sorriderà con un ghigno alla disfatta del figlio ormai ‘nudo’ e in pasto ad un pubblico da avanspettacolo e ‘smemorato’.
Non possiamo non citare la grandezza dell’interpretazione di Pierfrancesco Favino, che ormai ci ha abituato alla sua capacità di ‘diventare’ a tutti gli effetti identico all’originale e qui ha superato sé stesso. Ti dimentichi di vedere l’attore Favino e vedi Craxi con la sua andatura sbilenca, il suo girar la testa in modo sghembo. Le sue sopracciglia, quelle che Favino dirà essere il deus ex machina che, dopo ore e ore di trucco, lo faranno sentire a tutti gli effetti il Presidente.

A questo punto un tentativo di risposta alla domanda inziale: il film è esaustivo su chi fosse Bettino Craxi? Un giovane che vede il film cosa capirà del politico Craxi? E di come il suo operato abbia inciso sulla storia italiana e non? Amelio lo ha ribadito più volte “non volevo fare un pamphlet né un film militante. Volevo raccontare, attraverso l’emozione, un uomo che è stato grande ma che non ha saputo gestire la sua grandezza e che ha perso sé stesso per il proprio io ipertrofico”.
Qualcuno ha detto che prima la politica si faceva con il NOI poi siamo passati all’IO (e ne abbiamo esempi eccellenti, di questa deriva). Allora, forse proprio attraverso le caratteristiche che hanno portato alla decadenza e al disfacimento della vita di quest’uomo – spartiacque tra la fine di una politica di ideali e quella di puro tornaconto – possiamo sperare che le giovani generazioni siano incuriosite a conoscere la storia anche politica di un uomo e di una stagione, Mani Pulite, che ha generato la nostra storia attuale. Non dimenticando che dietro al politico c’è sempre una persona, uomo o donna che sia, che, prima o poi, dovrà fare sempre i conti con la propria coscienza.