“Cosa vuol dire essere una madre?”
Questa domanda può avere una risposta molto banale o una molto complessa. Di questa complessità tratta Laura Bispuri nel suo nuovo film, Figlia Mia. La regista, fedele a sé stessa, riporta al Festival di Berlino, dopo Vergine Giurata (2015), delle protagoniste femminili (interpretate da Alba Rohrwacher, Valeria Golino e Sara Casu), mettendo in scena le dinamiche che le legano. Una madre biologica, una – diciamo – culturale, una figlia, amata e contesa da entrambe.
Il pubblico viene da subito catapultato nella vita di queste tre figure: due donne contrapposte, Tina (Valeria Golino), affidabile, amorevole e laboriosa, e Angelica (Alba Rohrwacher), scapestrata e imprudente, che però sono legate da un segreto difficile da nascondere, e una bambina, Vittoria (Sara Casu), cresciuta con Tina ma reale figlia di Angelica, che cerca di capire la verità sulla sua storia.
Tutta la vicenda è ambientata in Sardegna occidentale, terra rurale e concreta ma sotto certi aspetti quasi fiabesca, una terra piena di sfaccettature e con una (madre) natura che esprime tutta la sua forza.
Sono luoghi in cui l’antico e il moderno si sovrappongono: “mi fa pensare ad una terra che sta cercando la sua identità” afferma la regista, la stessa ricerca caratteristica di Vittoria.
È evidente come siano riusciti a trovare un’ambientazione che rispecchi tutti gli aspetti del film.
La maternità è il tema centrale del film. La regista si pone molte domande e fa si che lo spettatore stesso si interroghi su cosa voglia dire essere madre oggi, in un’epoca in cui il sistema genitoriale classico (quasi stereotipato) non è più così veritiero. Il film, sono le parole della regista “parte da un sentimento materno arcaico e viscerale, ma poi cerca di declinare la discussione in termini più contemporanei, suggerendo un finale in cui le madri sono due”. La Bispuri afferma inoltre: “mi interessava andare a toccare una delle fondamenta della nostra società: per anni, secoli, la donna è stata incastrata dentro la figura della di madre perfetta”. Le due donne infatti sono tutto tranne che perfette ma questo ovviamente non impedisce che il legame che si crei con Vittoria sia fortissimo. Il film mette in scena figure di donne reali, con luci e ombre, e mostra la forza dell’imperfezione.
Un altro aspetto importante del film è la crescita. Nessun personaggio è statico, tutte e tre evolvono durante la vicenda. In primis Vittoria, che anche grazie al nuovo rapporto con Angelica inizia ad affrontare le sue paure e a conoscere nuovi aspetti di sé e della vita stessa, fino ad arrivare a scoprire la verità e ad accettare le sue due figure materne nelle loro imperfezioni, quindi, in sostanza, nella loro umanità. Poi Angelica, che contrariamente a quello che pensava fosse il suo destino (essere sola al mondo) accetta l’amore di una figlia che non pensava di meritare. Infine Tina, donna che vede sgretolarsi l’idea del rapporto perfetto che credeva di avere con la figlia, che supera la paura di perderla e accoglie i cambiamenti.
Perché, in fondo, suggerisce la Bispuri, si impara ad essere madre e figlia, solo vivendo ed accettando la complessità dello stare al mondo.