Recensione “The French Dispatch” – Wes Anderson, 2021
“Mi sono ispirato al vostro cinema e soprattutto a un film come “L’oro di Napoli” di Vittorio De Sica, quando lo vidi per la prima volta decisi che ne avrei fatto uno simile.” Quando l’arte più pura, il cinema alla sua massima espressione, l’arte all’ennesima potenza si incontrano con il genio di Wes Anderson, tutto diventa meraviglia, stupore, incomprensione, confusione, assuefazione. Wes Anderson è al suo punto di maggiore spicco in questo suo decimo film, che lo definisce come una “lettera d’amore al giornalismo e ai giornalisti”.
Racconta le vicende e i personaggi legati alla redazione del quotidiano The French Dispatch, una versione immaginaria del New Yorker nell’immaginaria cittadina francese di Ennui-sur-Blasé. La storia segue tre distinte linee narrative che danno vita a una raccolta di racconti nel corso di alcuni decenni del XX secolo. Quando il direttore del giornale muore, i redattori decidono di pubblicare un numero commemorativo, che raccolga tutti gli articoli di successo che il French Dispatch ha pubblicato negli ultimi anni. Il film approfondisce tre episodi in particolare: un artista condannato all’ergastolo, un reportage sui moti studenteschi del ’68 e il rapimento di uno chef.
Il cast è stellare: Bill Murray è il direttore, Owen Wilson, Tilda Swinton, Frances McDormand e Jeffrey Wright alcuni dei suoi giornalisti. E ancora Benicio del Toro, Léa Seydoux, Adrien Brody, Mathieu Amalric, Edward Norton e tantissimi altri.
Ogni sequenza è un quadro, è precisione allo stato puro. I colori non sono mai messi a caso, il bianco e nero appare per metà film, per un momento viene anche utilizzata la tecnica dell’animazione. Ogni cosa è nel posto in cui deve esattamente essere. I fermo immagine non sono realmente tali e vedono gli attori semplicemente immobili, mentre respirano o tremano. I lunghissimi piani sequenza, le inquadrature perfettamente simmetriche. Tutto assume le forme quasi di un palcoscenico teatrale, con scenografie che appaiono e scompaiono e un tendone che si apre e si chiude sulle vicende. Inoltre, ogni sezione si apre come se stessimo sfogliando un giornale, indicando i titoli del nuovo pezzo, con le pagine corrispondenti. Episodi staccati all’interno di una più grande storia, proprio come accade nei film neorealisti italiani. Tutte le arti vengono a convergere nell’unica e ultima settima arte, pittura, scultura, architettura, scrittura, teatro, musica. Tutto è esagerato ma al contempo perfetto, anche se la macchinosità e l’esasperazione dell’incomprensibile sono troppo lontani dalla realtà. C’è la sensazione di dover riguardare questo film almeno altre due o tre volte per capirlo meglio. The French Dispatch è uno di quei film che non sempre si capiscono. Non sappiamo se per un volere ultimo del regista, per nascondere dei messaggi, o semplicemente per confondere e creare della vera e propria arte che è solo da ammirare.