La puntata di martedì 19 Maggio 2020, ora disponibile in podcast, sullo speciale “Coronavirus” ha ospitato tra gli esperti il professor Stefano Zanero, docente di sicurezza informatica al Politecnico di Milano.
L’intervista, che riportiamo di seguito, si è focalizzata su diversi aspetti dell’applicazione “Immuni”, ideata per il contact tracing, di cui tanto si dibatte in questo periodo di COVID-19: il funzionamento, la tutela della privacy, l’efficacia.
Il professore, dopo una breve panoramica sul fatto che queste app sono una novità, ci ricorda come le epidemie sono sempre state gestite e ridimensiona un po’ lo scalpore che è stato creato intorno al contact tracing:
“Il contact tracing, di base, si è sempre fatto, sono 100 anni che epidemiologi lo usano per controllare gli outbreak di malattie infettive. A livello più ampio, nella gestione delle epidemie, si è sempre usato il paradigma delle tre T: Tracing, Testing, Treating. Quando si trova un malato, lo si intervista per stabilire i contatti, a questi si fa i test e se risultano positivi si trattano. Anzi, a volte, si somministra un trattamento preventivo senza la parte di test.”
Ma allora perchè non si può continuare a gestire il Covid-19 come si sono sempre gestite altre malattie, come ad esempio la meningite? Il professore continua:
“Il Covid-19 ha una serie di problematiche. Intanto, per ora, non sappiamo come curarlo, si usano solo dei supporti, come l’intubazione, e se ne cercano di trattare i sintomi. Poi non c’è profilassi, possiamo solo fare isolamento o il test, ma abbiamo una limitata capacità di farne ed inoltre ci vuole tempo per ottenerne l’esito.
Con il Covid-19 si è visto che molti dei contagi sono dovuti ad asintomatici e il contact tracing manuale quindi risulta lento e ha dei buchi.”
Il contact tracing tradizionale necessita quindi di un miglioramento, che non per forza deve passare per l’automatizzazione:
“La Corea ad esempio non usa un’applicazione, ma ha uno squadrone di persone che cercano i contatti, ad esempio coi dati delle carte di credito dei pagamenti effettuati in un certo negozio in un dato intervallo temporale. In Corea però hanno accesso a tutti i dati della popolazione.”
Non è proprio una prospettiva allettante per la nostra società occidentale, quindi in Europa si stanno valutando altre opzioni:
“Si è optato per il protocollo bluetooth, che ha funzione BLE (bluetooth low energy) che viene usato per navigare negli ambienti: è quello che si usa, per esempio, nei musei, per vedere la prossimità ad un quadro e far comparire la scheda di esso sull’app.
Questa tecnologia si può quindi usare anche per misurare la distanza tra due cellulari. Stabilendo una finestra di di interesse, ad esempio un contatto rilevante è 15′ in meno di 2 metri, bisogna ora capire come registrare i contatti e utilizzarli.”
Vediamo quindi come funziona Immuni:
“è stato scelto di usare un protocollo sviluppato in Svizzera con collaborazioni in Europa, il DP3T, che indica un protocollo per cui il cellulare, scaricata l’app, genera un codice (che non contiene dati identificativi legati alla persona), e, ogni volta che si ha un incontro, il codice viene scambiato, anonimamente, e la durata e distanza del contatto vengono salvate. Quando poi una persona viene trovata positiva, gli verrà innanzitutto fatta un’intervista di contact tracing, per quello manuale, ma, se ha usato l’app, i sanitari danno la possibilità alla persona di caricare su un sistema centralizzato il suo identificativo numerico e tutti i cellulari con l’app quando guardano quel numero controllano nel loro elenco di persone incontrate se vi sono entrati in contatto. A quel punto l’app allerta e suggerisce un comportamento da avere. Tutta quest’ultima parte è, tuttavia, ancora un po’ misteriosa”
Ma quindi la privacy viene tutelata?
“Il protocollo è decentralizzato e anonimizzato quindi i dati sono sui cellulari e i numeri non dicono nulla sulla persona. dal punto di vista del cittadino non ci sono rischi né di avere incontri schedati né di geolocalizzazione.
Ovviamente quando attiviamo un sistema del genere in qualche misura la nostra privacy è comunque a rischio, questo è un meccanismo che cerca il più possibile di tutelare ciò. Ma non dimentichiamo che il core è un’app che serve per tracciare i contatti quindi di base fa una cosa che noi normalmente non vorremmo, tuttavia l’accettiamo come trade-off (compromesso ndr) perché speriamo che sia utile per contrastare il virus.”
Ma lo è davvero?
“Su questo argomento i pareri sono discordanti non tanto nella comunità informatica che ne può sapere il giusto, quanto nella comunità degli epidemiologi perchè non c’è un consenso fortissimo su quanto questa cosa possa incidere o quale debba essere la penetrazione dell’app tra gli utenti affinché possa essere utile, soprattutto perchè pare si tratterà, secondo tutte le notizie, di un’app facoltativa. ”
Quale dovrebbe essere la penetrazione? Si è parlato di un 50-65%, è realistico?
“Andrebbe chiesto ad un epidemiologo, mi permetto un’osservazione da informatico invece: Whatsapp, che potrebbe essere l’applicazione più scaricata, ha una percentuale di penetrazione leggermente inferiore al 60% quindi pensare ad una che si avvicini è enormemente ottimistico.
Quindi mi permetto di girare la domanda, dando per scontato che realisticamente la installeranno tra il 20-50% se va tutto benissimo, è ancora utile? Perchè se non lo è abbiamo un problema.”
Ci spiega meglio:
“La mia preoccupazione, più che per la privacy vista la robustezza del protocollo (con i proprio limiti chiaramente), è il fatto che l’app è un pezzettino delle seconda T ma mancano le altre. Temo che si arriverà ad un punto in cui non ci saranno più protezioni a sufficienza, non ci saranno squadre di contact tracers per seguire i contatti, non ci saranno i test per stare dietro a ciò che salta fuori dei contact tracer, non ci saranno gli hotel per isolatamente o le fever clinic per curare i malati Covid lontano dagli altri malati, e la colpa finirà sull’app che non ha funzionato bene.”
Il professor Zanero quindi cerca di riequilibrare la percezione che si ha di ciò che è veramente importante e di ciò di cui bisognerebbe preoccuparsi. Il lavoro dell’applicazione Immuni dovrebbe essere un supporto per velocizzare il tracciamento dei contatti, e tutto sommato sembra che possa svolgere il suo compito in sicurezza, tuttavia il suo compito è un 2-5% di quello che occorre per gestire l’epidemia. La vera questione è: si sta lavorando bene sul restante 95-98%?