“Come l’Eden, prima del ‘ta ta ta’
Quando il cielo era infinito
Quando c’era la festa e non serviva l’invito
E se potessi parlare con lei da solo cosa le direi?
Di dimenticare quel frastuono
Tra gli errori suoi e gli errori miei
E guardare avanti senza l’ansia di una gara
Camminare insieme sotto questa luce chiara
Mentre gridano
Guarda, stacca, mordi, spacca, separa
Amati, copriti, carica, spara
Amati, copriti, carica”

Io non sono una storica fan di Rancore, vorrei poter dire che lo seguo da quando non lo conosceva nessuno, ma non è così. “Rapper ermetico”, come gli piace definirsi, e io i rapper li avevo sempre snobbati un po’. Io Rancore l’ho scoperto recentemente. In un pomeriggio di primavera, sul divano, facendo zapping in tv, mi fermo sulla diretta del concerto del primo maggio. Nata e cresciuta a Roma, e al concerto ci sarò andata due volte a dir tanto. Ma un po’ la nostalgia della mia città, un po’ la curiosità vagamente supponente di vedere cosa combinassero mi hanno fatta fermare. Niente di particolarmente interessante, prendo il telefono e mi distraggo, finché arriva uno che parla di Principesse e di Draghi. E sarà che mi ci hanno cresciuta con le fiabe, sarà che “le fiabe insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”, sarà che crescendo il fantasy è sempre stato uno dei miei generi preferiti, ma io quella canzone l’ho sentita tutta. E me ne sono innamorata. Perché è una fiaba come tutte e come nessuna. Perché è una fiaba al contrario. Perché è una fiaba per adulti e parla di bugie, di maschere, di verità e di magia. “Perché in pochi sanno cos’è la magia, perché pochi sanno che alla fine della favola, sarà un tiranno a portarla via”.
I testi di Rancore sono un concentrato di storie, di metafore, di messaggi, di poesia. Ed io non ho la presunzione di dire che nessuno meritasse il premio per il migliore testo più di lui, ma sono totalmente entusiasta che sia stato lui a riceverlo.