Ed ecco la seconda ed ultima parte della carrellata di recensioni ai film candidati nella categoria di miglior film ai Premi David 2021. Qui di seguito ci sono “Favolacce”, il film tanto criticato da Muccino ma con un messaggio importante da trovare attraverso i suoi neri racconti, “Hammamet” che racconta degli ultimi giorni in Tunisia dell’ex presidente Bettino Craxi, e “Volevo nascondermi”, un racconto tanto delicato, poetico e doloroso, di uno dei pittori italiani più importanti del XX secolo.

“Favolacce”

“Quanto segue è ispirato ad una storia vera. La storia vera è ispirata ad una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata”. Questa la frase presente nel diario di un bambino che un anonimo lettore ci racconta facendoci immergere nella storia nera di una serie di famiglie insoddisfatte, aride, superficiali e vuote. Durante una calda estate in un quartiere periferico di Roma, in alcune villette a schiera vivono delle famiglie che ad uno sguardo fugace paiono come qualunque altra, ma dentro i loro meccanismi si nascondono genitori frustrati e figli che assorbono questo clima e la conseguente negatività. Questi bambini tentano di reagire, di uscirne, in modi diversi o forse troppo simili dagli adulti che li hanno cresciuti.

Favolacce è un racconto senza pietà, non ha speranza, non ha morale, o forse una morale, un metro di giudizio è presente, ma è crudele, e forse proprio perchè pare così cattivo è ancora più vero, perché la realtà non risparmia nessuno, né adulti né bambini. Gli sbalzi d’umore della famiglia Placido, la totale anaffettività della famiglia Rosa, la superficialità della ragazza incinta Vilma e la non ordinarietà di Amelio e Geremia, il padre e figlio più veri di tutto il racconto per quanto sono quelli in cui si ripongono meno speranze di tutti, si incrociano, ridono, organizzano feste, si parlano alle spalle a vicenda, si invidiano, si rovinano. I legami che verranno a formare i bambini sono a volte troppo omologati a quelli degli adulti, loro figure d’esempio e di riferimento, ma di un esempio e di un riferimento malato, sbagliato, che corrode l’animo e rischierebbe di portarli alla rovina. Alla deriva ci arrivano più o meno tutti quanti. I fratelli D’Innocenzo hanno deciso di non darci speranze, di farci vedere storie quasi paranormali ma probabilmente più consuete che mai. Quante di queste storie in realtà si sentono al telegiornale, quanto ne si rimane scioccati, ma quanto in fondo sappiamo che non sono nemmeno così impossibili? Il racconto è violento apposta, colpisce nei punti giusti, è incredibilmente crudele e non si trattiene su nulla. La macchina da presa si sofferma da lontano quando avviene una quasi tragedia, osserviamo dall’alto ciò che potrebbe compiersi, ma poi si addentra sempre più negli scenari, ci sentiamo di far parte sempre più di questa acidità dilagante, e l’unico modo per uscirne quale è?

Il film è stato acclamato moltissimo, Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura a Damiano e Fabio D’Innocenzo, cinque Nastri d’Argento e ben undici candidature ai David: miglior film, miglior regia, miglior produttore, miglior attore non protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura originale, miglior scenografia, miglior fotografia, migliori acconciature, miglior montaggio, miglior suono, David giovani.

“Hammamet”

Chi era effettivamente Bettino Craxi? Un malfattore, colui che “ha rubato i soldi”? O un gigante della politica, uno che è semplicemente stato preso come capro espiatorio? Il Craxi di questo film è quello degli ultimi giorni della sua vita, quelli trascorsi in esilio in Tunisia, appunto ad Hammamet, alla fine del Novecento. Il Presidente è stato condannato per corruzione e finanziamento illecito. Con lui ci sono la moglie e la primogenita con suo figlio, mentre il secondogenito è in Italia a cercare di riabilitare l’immagine del padre. Arriveranno nella sua nuova dimora due figure del passato che ci permettono di ricostruire la sua personalità: Fausto, il figlio dell’ex compagno di partito Vincenzo, suicida dopo essere stato inquisito dal Giudice, e un Ospite. Questi suoi ultimi giorni vedranno il Presidente dibattersi fra malattia, solitudine e rancore: e la sua ultima testimonianza è affidata alle riprese di Fausto, personaggio criptico e oscuro, insicuro e acerbo. Proprio questo personaggio, così strano e quasi sempre nell’ombra, trattato in modo impeccabile dal Presidente, dovrebbe essere la chiave di tutto, per quanto la sua figura diventi quasi invisibile a volte e negli ultimi minuti del film quasi ce ne si dimentica. La performance di Favino è da lasciare a bocca aperta per la somiglianza fisica (anche se i complimenti più grandi vanno sicuramente all’equipe di truccatori che hanno compiuto un lavoro eccezionale), della voce e della gestualità, e nel riuscire a tirar fuori tutto quel mondo umano, teatralmente da tragedia shakespeariana, complesso e sopraffatto di quel grande personaggio di cui sentiamo sempre tanto parlare. Il film comincia con l’enorme quarantacinquesimo congresso del Partito Socialista Italiano dove la figura di Craxi torreggia su tutti attraverso un enorme triangolo, quasi un “occhio divino” che vede tutto e governa su tutti. Vincenzo però arriverà a preannunciare quella che sarà la parabola di ascesa del Presidente, che ci mostrerà questo uomo cinico, ma al contempo dolce e paterno, che è anche arrogante e orgoglioso, ossessionato dai continui fotografi che potrebbero seguirlo e portare le notizie in Italia.

Il film ha ricevuto due Nastri d’Argento, miglior attore protagonista a Pierfrancesco Favino e miglior produzione, e ben quattordici candidature ai David: miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior scenografia, miglior colonna sonora, miglior fotografia, miglior trucco, migliori costumi, migliori acconciature, miglior montaggio, miglior suono e migliori effetti visivi.

“Volevo nascondermi”

La sensazione di essere costantemente emarginati, trattati male da tutti solo perchè si è diversi dalla norma accettata universalmente, cacciati, picchiati, derisi, esclusi. Come ci si deve sentire? E’ Antonio Ligabue, detto prima Anton e poi Toni, che figlio di emigranti viene affidato ad una coppia svizzero-tedesca. I suoi problemi psicofisici però lo porteranno ad essere continuamente trattato male, e viene mandato a Gualtieri in Emilia, luogo di cui è originario l’uomo che è ufficialmente suo padre. Qui, tra bambini che lo guardano finalmente ammirati, animali e una nuova famiglia, vive per anni in estrema povertà sulle rive del Po, fino a quando uno scultore, Renato Marino Mazzacurati, lo indirizza allo sviluppo delle sue naturali doti di pittore.

Il racconto delicato e incredibilmente dolce di questo pittore è qualcosa di eccezionale. I primi venti minuti del film sono interamente in tedesco, e il resto della pellicola è in dialetto. E’ bellissimo come ci si sente immersi quasi in un altro mondo, la fotografia è eccezionale e nelle parti relative alla vita che Antonio conduce sul Po è a dir poco incredibile. La semplicità di questa figura così tanto importante per il mondo dell’arte riesce a far avvicinare anche chi di arte non se ne intende, perché davanti a noi non abbiamo un aristocratico che ha imparato ad usare i pennelli da un grande maestro in una bottega, ma abbiamo un autodidatta che si immerge completamente in ciò che fa, che ama la pittura quanto le sue dodici moto. E’ la pittura che lo fa scappare dall’incubo dei bambini che a scuola ridevano di lui, è la pittura che lo fa sentire vivo, importante, e non più un’immondizia vivente che viene continuamente calpestata da tutti. La figura di Antonio Ligabue è così criptica e dolce, così immersa nel suo mondo pieno di animali, quelli che lui stesso emula per poterli disegnare al meglio: si mette alle loro altezze, li vive, li imita, cerca di entrare nelle teste di ogni singolo essere vivente per catturarne l’essenza e per poi portarla su ogni singola pennellata. Sono inoltre molte le figure femminili che seguiranno Toni durante tutto il corso della sua vita, dalla sconosciuta madre biologica, a quella adottiva, alla quasi nuova madre che inizialmente si prende cura di lui, alla ragazza avvenente che tenta di farlo suo, fino alla Cesarina, che sarà il suo luogo di pace e normalità.

Con la sua splendida esibizione Elio Germano ha vinto l’Orso d’Argento al Festival di Berlino, e la pellicola ha ricevuto ben quindici candidature ai premi David: miglior film, miglior regia, miglior produttore, miglior attore protagonista, migliore sceneggiatura originale, miglior scenografia, miglior colonna sonora, miglior canzone, miglior fotografia, migliori costumi, miglior trucco, migliori acconciature, miglior montaggio, miglior suono e migliori effetti visivi.